da: rinascita.net
Strano a dirsi ma, in mezzo al frastuono globale di notizie piccole e grandi, di maggiore o minore importanza, tra pettegolezzi, selfie e quant’altro, oramai elevati ad imprescindibile biglietto da visita per la nostra vuota civiltà, per la quale di tutto e di tutti, si deve dire e di più, all’insegna di una onnicomprensiva ed opprimente interconnessione, bene, in mezzo a tanto magniloquente starnazzare, sembra sia passata assolutamente sotto tono una di quelle notiziole che dovrebbe, invece, far tremare le gambe a qualunque individuo dotato di un minimo di raziocinio. In mezzo a tanto cianciare di crisi globale, di fine del primato degli Stati Uniti sul mondo ed altre simili amenità, zitti zitti e quatti quatti, proprio loro, gli USA si sono portati a casa dei successi di non poco conto, costituiti da quegli accordi di cooperazione internazionale e di ulteriore spinta all’apertura dei mercati di quelle nazioni che ne fanno parte. Parliamo di Tpp, Tisa e Ttip.
La prima sigla sta per Partenariato Trans-Pacifico (Tpp) ed è stato sottoscritto da dodici paesi che compongono il 40% del Pil mondiale: Usa, Messico, Perù, Cile, Giappone, Vietnam, Singapore, Brunei, Malesia, Australia e Nuova Zelanda. Questo tipo di accordo, si basa su tutte quelle asimmetrie tra i suoi membri che, notoriamente, finiscono con il favorire gli Usa, i principali interessati alla sua attuazione in quanto economia in posizione predominante tra quelle risultanti in questo elenco.
Il Tpp nasce inoltre con la finalità di creare un contrappeso alla crescita della Cina nel contesto geo economico asiatico, dove quest’ultima sta appunto assurgendo ad un ruolo primario. Il Giappone, da “competitor” a socio privilegiato degli Usa nell’area, è, in verità, divenuto la punta di lancia di questa strategia.
La seconda sigla sta per Accordo di Scambio sui Servizi (Tisa) ed è recentemente stato concluso a seguito di un negoziato svoltosi nel più grande segreto. Il Tisa permetterà alle varie “corporations” finanziarie di esportare tutti i dati personali dei consumatori attraverso le frontiere, contraddicendo, in tal modo, le attuali leggi sulla protezione dei dati, oggidì in vigore in molti paesi. Un’altra “sorpresa” del Tisa sta nel fatto che quelle stesse compagnie finanziarie internazionali, vengono “de iure” e “de facto” esentate dal rispetto delle normative del paese in cui agiranno, a patto che quelle stesse azioni siano permesse nel paese di provenienza. Così, tanto per cambiare, le varie compagnie USA potranno tenere unicamente conto delle normative di Washington, passando tranquillamente sopra la testa di quelle dei locali contesti d’azione. Contrariamente alle aspettative, però, questo accordo, sottoscritto da Australia, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, Stati Uniti, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Svizzera, Taiwan, Turchia e Commissione europea ha, invece, trovato l’opposizione maggioritaria dei paesi del Mercosur, capeggiati dall’Uruguay del governo a maggioranza Frente Amplio, con la sola significativa eccezione della presenza del Paraguay, membro fondatore del Mercosur; il che ci fa capire che, anche in questo caso, la partita, per quanto riguarda l’America Latina, è tutt’altro che definita.
La terza sigla sta per Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (Ttip). Contrariamente agli altri due, il Ttip è ancora in fase di negoziazione e costituisce l’ulteriore tentativo di costituire un’area di libero commercio tra Usa e Ue. Anche in questo caso, i negoziati si svolgono in una condizione di segretezza che, probabilmente, giustifica quella che, del Ttip, fa un accordo “speciale”, ancor più dei suoi pari Tpp e Tisa. Difatti l’istituzione di un tribunale di arbitrato in grado di agire in modo totalmente autonomo ed indipendente, ripetto al sistema giuridico di ciascun paese al fine di favorire gli investimenti stranieri, fa di questo accordo, il momento clou di un sistema, creato proprio al fine di portare l’attacco finale all’autonomia delle scelte economiche dei vari stati nazionali, strangolandone de facto l’indipendenza. Un fatto questo che, per un’Europa attanagliata da una pluriennale crisi recessiva, ingenerata dall’ultimo ciclone finanziario partito da Oltreoceano cinque anni fa, potrebbe rivelarsi esiziale. Come possiamo quindi constatare, gli USA, contrariamente alle frettolose previsioni di qualche sprovveduto analista, attraversano tutt’altro che una fase di inesorabile decadenza. Le spese interne ed estere, l’esposizione debitoria verso la Cina (attraverso il massiccio acquisto da parte di quest’ultima di titoli del debito USA, sic!), oltre alle varie tempeste finanziarie, non sembrano averne minato granchè nè tenacia, né aggressività e né protagonismo, sulla scena politica ed economica mondiale. Questo perché, qualcuno ha forse dimenticato che, in primis, gli USA sono i maggiori esportatori al mondo di valuta. Il dollaro, ancor oggi è il punto di riferimento per tutte le transazioni economiche e finanziarie mondiali e, pertanto, gli Stati Uniti detengono la maggior quota di circolante di valuta al mondo, assieme al gigante cinese. Ma la Cina, al pari dei vari BRICS (Brasile, Russia, India, Sudafrica, etc.) è un gigante dai piedi d’argilla. Le politiche espansive, le crescite impetuose, nascondono una debolezza costitutiva caratterizzata da instabilità politica, immense sperequazioni sociali, endemiche mancanze di infrastrutture e, spesso, da una difficile e problematica interazione politica ed economica con i propri vicini (come nel caso dei pesanti risvolti economici determinati dai rapporti tra Federazione Russa e Ucraina, esemplificati dalla pluriennale vicenda dei gasdotti….sic!). Quella di un mondo multipolare è, per ora, uno specchietto per le allodole, dietro al quale si nascondono realtà geoeconomiche la cui impetuosa crescita è unicamente funzionale al fatto di far girare, più rapidamente e meglio, i soldi dei vari investitori internazionali. I tentativi di soppiantare il Nuovo Ordine Mondiale a conduzione USA, con un ordine multipolare viene, de facto, vanificato dal vertiginoso turbinare di un capitalismo che si autoalimenta di crisi la cui frequenza, va facendosi sempre più serrata e la cui intensità ed estensione sempre maggiore, con buona pace per le speranze di alleanze raccogliticce e malandate la cui tenuta costituisce, unicamente, un fenomeno di facciata, destinato ad infrangersi di fronte alle prime, serie, difficoltà. Tutto questo non significa, però, che gli USA siano i reali protagonisti e registi di certi fenomeni. Va, ad onor del vero, rimarcato il fatto che gli Stati Uniti, oggidì, fungono al ruolo di semplice gendarme ed esecutore dei “desiderata” dei poteri forti, di cui le grandi “corporation” finanziarie multinazionali, sono l’espressione più evidente. Certo, il fatto che quegli stessi centri di potere, delle volte preferiscano decentrare i propri interessi su altri contesti, è un fatto di puro tatticismo, che risponde unicamente alla necessità di sopperire e compensare con una più ampia dislocazione, ad eventuali perdite finanziarie, tanto più significative, quanto più capitali e risorse siano concentrati su un solo paese, fossero anche gli USA. Resta il fatto che, al di là dei vari tatticismi, la strategia di attacco agli stati nazionali ed alla loro libertà è oggi ad un punto cruciale, perché si innesta in un momento di crisi economica generale che tocca dal vivo sia i lavoratori che la classe media. Privatizzazioni selvagge, delocalizzazioni, licenziamenti di massa, fiscalismo esasperato, abolizione delle tutele sociali, accomunano in un fronte trasversale interessi e situazioni, sino a poco tempo fa incompatibili. Nell’ America Latina degli inizi di questo secolo, imponenti mobilitazioni e manifestazioni in Argentina, Brasile e Venezuela, contribuirono al successo dell’opposizione all’ALCA (Area di libero commercio delle Americhe), da parte di Kirchner, Lula e Chávez. La recente manifestazione di Berlino, con la partecipazione di 250mila persone contro questi accordi, costituisce, in questo senso, sicuramente un segnale favorevole, ma non sufficiente. Il sin troppo sparpagliato fronte di lotta al Globalismo liberista, ha oggi bisogno di un collante in grado di accomunare, istanze e prassi troppo spesso lontane e scollegate. Questo elemento, in grado di accomunare istanze ideologiche con prassi meramente politiche, è rappresentato dalla democrazia diretta, la cui applicazione andrebbe orientata unicamente in direzione di quei grandi processi decisionali che coinvolgono la globalità della vita di una comunità nazionale, come, per l’appunto, quei grandi accordi economico-finanziari, sottoscritti senza il consenso e la partecipazione di quelle masse di lavoratori e consumatori che, invece, per prime ne subiscono gli effetti. La stipula di questi accordi ed il malcontento che ne segue, potrebbe rappresentare un valido incentivo verso la creazione di quel Frente Amplio che, caratterizzato da una lotta senza quartiere al capitalismo liberista, porti a proprio comun denominatore la prassi di una democrazia diretta, in grado di contrapporsi risolutamente ad ogni iniziativa o tentativo di soffocamento della libertà e dei diritti da parte del liberismo capitalista e dei suoi scherani di sinistra e di destra.