da barbadillo.it
Nessuna appropriazione indebita. Lucio Battisti non è mai stato di sinistra. È sempre stato considerato un uomo libero, fuori dagli schemi dei «cantautori impegnati», amato senza secondi fini soprattutto dai non allineati e dai ragazzi di destra. Mai stato militante, il cantautore ha anche donato una canzone ai giovani del Msi del circolo «Il quadrato» di Ancona, alla fine degli anni sessanta, come ricostruito dallo studioso Marco Valle.
Perché questa premessa? Perché l’accostamento del cantante del «Mio canto libero» alla destra è costato caro ad una studentessa di scuola media a Genova. «Lucio Battisti era fascista», ha detto in classe. La reazione? Un 4 dal docente e un nota di demerito sul registro. «Accosta il fascismo ai cantautori degli anni 60/70», scrive il professore, pensando di essere uno storico della musica. Sconcertata la reazione del padre della ragazza: «Un’adolescente pone una questione, dà un’opinione, e invece di creare dibattito le si dice di stare zitta?».
Negli anni settanta la rivista l’«Italiano» di Pino Romualdi elogiava Lucio così: «Non si è lasciato intruppare fra gli pseudo-artisti di sinistra che si appoggiavano alla macchina propagandistica del partito comunista (…). Chi, come lui – scriveva Daniele Gaudenzi – non va in cerca di una facile popolarità, ma sa di essere autenticamente anticonformista, possiede una personalità propria e non rinuncia ad avere delle idee… Non esista a frequentare i suoi veri amici della destra e a manifestare concretamente la sua solidarietà anche quando ciò può apparire inopportuno». Quest’ultimo riferimento sembra incontrare la vulgata che descrive la famiglia Battisti vicina a Soccorso Tricolore, sodalizio che in sinergia con «il Borghese» raccoglieva donazioni per l’assistenza legale ai giovani di destra vittime della violenza antifascista (i dettagli prima o poi emergeranno dagli archivi del tempo conservati al Ministero dell’Interno). Due intellettuali della destra romana, negli anni novanta, confermavano ancora la vicinanza di Battisti all’area non conformista: Paolo Signorelli lo descrive come un giovane simpatizzante ordinovista; Adalberto Baldoni come «un punto riferimento», anche se mai tesserato, per la Giovane Italia.
Mogol, storico paroliere di Battisti, ogni volta che si discute di «Battisti politico» tende a stemperare i toni, salvo ammettere che «all’epoca, negli anni Sessanta e Settanta, o andavi in giro con il pugno alzato e cantavi Contessa, oppure eri fascista. O qualunquista». A sinistra, di sicuro, è stato a lungo ostracizzato. La scrittrice Lidia Ravera ha ricordato che era ligia ai diktat della sinistra extraparlamentare, salvo quando trasgrediva ascoltando l’autore de «La canzone del sole».
Se destra e sinistra contano sempre meno, in tempi di politica liquida, questa dicotomia può apparire surreale se accostata al genio di Battisti, vero cantore dell’amore eterno e della tradizione in note, in cult come «Il mio conto libero» o de «La collina dei ciliegi». Poi c’è un aneddoto storico-famigliare ricostruito da Filippo Angora in «Nel cuore, nell’anima. Omaggio a Lucio Battisti»: «Il padre, ai tempi della guerra, era il capo della milizia di Poggio Bustone e (…) per Lucio fu un grande trauma assistere al pestaggio» del proprio genitore da parte dei partigiani.
Per lo scrittore Gianfranco de Turris, «una larga fascia del mondo di destra si riconosceva nella visione del mondo di Battisti, al di là delle sue vere e ignote idee politiche». Fermiamoci, fermatevi qui. E alzate il volume: «La veste dei fantasmi del passato/ cadendo lascia il quadro immacolato / e s’alza un vento tiepido d’amore / di vero amore / e riscopro te». (da Il Tempo)
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