martedì 22 novembre 2016
STOP AL BUSINESS DELL'ACCOGLIENZA
ABBIAMO DECISO DI DARE IL NOSTRO CONTRIBUTO ALLA RACCOLTA FIRME CONTRO IL BUSINESS DELL'ACCOGLIENZA.
Le scellerate politiche d’accoglienza messe in atto da Renzi e Alfano prevedono l’arrivo di migliaia di immigrati, in larga parte irregolari, da destinare ai numerosi centri d’accoglienza sparsi in tutta Italia. Queste strutture servono soltanto a far arricchire le cooperative che le gestiscono con i soldi dello Stato. Attualmente le spese sostenute dai gestori dei centri d’accoglienza non sono sottoposte a rendicontazione e per questo non sappiamo come vengano effettivamente impiegate le risorse che le cooperative ricevono. In un momento in cui gli italiani si vedono tagliare i servizi e la crisi economica colpisce sempre più le nostre famiglie ci sembra assurdo che il Governo continui a finanziare questo tipo di attività a scatola chiusa. Abbiamo così aderito alla raccolta firme che mira a cambiare la legge che fino ad oggi ha consentito di maneggiare in maniera troppo disinvolta i soldi dei contribuenti, al fine di colpire chi lucra sull’immigrazione incontrollata, facendo di questo evento un vero e proprio business.
domenica 2 ottobre 2016
Il referendum sull’immigrazione di Orban avviso patriottico ai burocrati Ue
di: Cristiano Puglisi (barbadillo.it)
Nell’ambito dell’agone politico del centrodestra, il Partito Popolare Europeo è spesso utilizzato nella retorica quotidiana per segnalare una certa distanza dalla destra più intransigente. Soprattutto parlare di Partito Popolare Europeo significa affermare una certa fede europeista, laddove l’aggettivo collima con la visione dominante all’interno dei circoli tecnocratici di Bruxelles e della Commissione Europea.
La storia politica di Fidesz
Eppure, anche se in pochi lo sanno, esiste un altro Partito Popolare Europeo. E’ quello di Viktor Orban, premier dell’Ungheria e del suo partito Fidesz. Tutt’altra pasta rispetto ai centristi nostrani, il primo ministro di Budapest è infatti visto al di fuori dei propri confini come un conservatore e un nazionalista intransigente.
Nonostante questa percezione Fidesz, movimento nato nel 1988 come “Alleanza dei Giovani Democratici” e fiorito prevalentemente all’interno delle Università, era sorto come una forza di ispirazione totalmente opposta, che si opponeva in maniera dura al regime comunista ungherese proponendo un modello liberale e libertario di stampo occidentale. Con il crollo della “cortina di ferro” Fidesz è riuscito a sdoganare la propria presenza sul panorama politico. Ma il successo elettorale ha eluso a lungo le speranze dei suoi giovani esponenti.
A metà degli anni ’90 il movimento vede l’emergere della figura di Viktor Orban, giovane giurista tra i primi fondatori del partito, che si propone come leader liberalconservatore e punta su un’opposizione ancora più dura al maggioritario Partito Socialista che, nel 1998, anno della consacrazione con la vittoria elettorale, si tramuta in esperienza di governo. Il primo Orban è a favore delle liberalizzazioni, dell’integrazione europea, della Nato, nella quale l’Ungheria entra nel 1999.
Finito il mandato nel 2002, Viktor Orban dovrà attendere otto anni per tornare a sedersi sullo scranno di primo ministro con la spettacolare vittoria alle elezioni del 2010, con la conquista di oltre i due terzi dei seggi parlamentari. E’ da quel momento che la politica di Fidesz cambia radicalmente. Il liberalconservatorismo lascia spazio a un più rigido nazionalismo: l’Assemblea Nazionale vede ridotto drasticamente il numero dei parlamentari e la Costituzione vede modifiche di stampo tradizionalista, con l’inserimento di riferimenti espliciti ai valori della famiglia e della fede.
Nel 2011 Orban da il via a un massiccio piano di nazionalizzazioni, o megli di “rinazionalizzazioni”: sotto il controllo statale tornano infatti i fondi pensionistici che proprio Orban aveva privatizzato nel suo primo mandato. Vengono inoltre introdotte consistenti tassazioni sui profitti bancari e finanziari privati.
Il rimodellamento nazionale della Banca Centrale Ungherese
Queste manovre sono il preludio alla decisione di contestare il principio di indipendenza della Banca Centrale Ungherese rispetto al Ministero delle Finanze, fino al punto in cui il governatore è venuto nuovamente a essere indicato dal Governo ungherese, che rifiuta inoltre di aderire al processo di ingresso nella moneta unica europea.
Ma le scelte di Orban sono anche motivate dal sentimento prevalente della popolazione, ovvero quello di un potente rigurgito del sentimento nazionale che porta Jobbik, movimento di estrema destra ultratradizionalista, a diventare il principale partito di opposizione con consensi oltre il 20% che vengono confermati dalle più recenti elezioni, quelle del 2014.
Il nuovo successo di Orban porta però a una sempre maggiore distanza dall’Unione Europea e a una sempre maggiore vicinanza a modelli alternativi, quale quello della Russia di Putin, tanto che lo stesso Orban viene a dichiarare in più occasioni come il suo modello di riferimento sia quello della “democrazia illiberale”, al quale egli accosta non solo la Russia, ma anche la Cina e la Turchia.
Eppure, nonostante il prevedibile criticismo di molti Paesi dell’Occidente, l’eterodossa (per i canoni eurocratici e progressisti) Ungheria di Orban è una realtà felice, economicamente parlando. Il Paese ha infatti visto diminuire costantemente e drasticamente il tasso di disoccupazione a partire dal 2010, pur in piena crisi economica globale.
La sfida di Orban ai dogmi di Bruxelles tuttavia non si limita all’aspetto economico e sociale ma anche alla gestione del fenomeno migratorio dovuto ai conflitti mediorientali. Il suo Governo è infatti fautore di una politica di rifiuto della retorica immigrazionista vigente nelle principali capitali politiche europee (Italia inclusa ovviamente, nda) e improntata a un certo pragmatismo, più che a un rifiuto ideologico del migrante in quanto tale.
Così lo scorso anno è partita l’edificazione del famoso “muro anti immigrati”, che è poi in realtà una lunga barriera fatta di filo spinato al confine con la Serbia, in aperta sfida al trattato di Schengen. Una misura che ha fatto inorridire la stampa liberal occidentale. Una decisione che ha però funzionato, fermando l’enorme flusso di migranti che, attraverso i Balcani, attraversavano l’Ungheria per introdursi in Europa. Una scelta che ha condotto oggi all’ultima battaglia, in ordine di tempo, del premier ungherese: l’indizione di un referendum per rifiutare le quote di ripartizione dei richiedenti asilo previste dall’Unione Europea.
Il referendum: tappa cruciale per la Nuova Europa
Il referendum, che si terrà nella giornata di domani, domenica 2 ottobre, sarà un momento molto caldo per i vertici europei. Paragonabile forse alla Brexit, pur se Budapest non ha lo stesso peso di Londra. Se la vittoria del “no” non è infatti minimamente in dubbio, a pesare saranno i dati di affluenza. Un’affluenza sotto il 50% indicherebbe un fallimento per il premier, che si esporrebbe così agli attacchi provenienti da destra, con Jobbik pronto a rimarcare la rischiosità di una simile operazione qualora un flop fornisse gli strumenti all’Ue per criticare le linee politiche ungheresi, e da sinistra con il Partito Socialista che si è prevedibilmente schierato contro la propaganda di Orban e potrebbe così vantare il disinteresse della popolazione per la questione.
Tuttavia, in caso di elevata affluenza o di percentuali bulgare, il segnale rivolto all’Europa sarebbe fortissimo e la piccola Ungheria potrebbe diventare un faro per tutte le voci fuori dal coro che sentono sempre più l’insofferenza verso questa Unione Europea e i suoi dogmi politici.
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venerdì 9 settembre 2016
Perché Lucio Battisti piaceva agli anticonformisti (a destra)
da barbadillo.it
Nessuna appropriazione indebita. Lucio Battisti non è mai stato di sinistra. È sempre stato considerato un uomo libero, fuori dagli schemi dei «cantautori impegnati», amato senza secondi fini soprattutto dai non allineati e dai ragazzi di destra. Mai stato militante, il cantautore ha anche donato una canzone ai giovani del Msi del circolo «Il quadrato» di Ancona, alla fine degli anni sessanta, come ricostruito dallo studioso Marco Valle.
Perché questa premessa? Perché l’accostamento del cantante del «Mio canto libero» alla destra è costato caro ad una studentessa di scuola media a Genova. «Lucio Battisti era fascista», ha detto in classe. La reazione? Un 4 dal docente e un nota di demerito sul registro. «Accosta il fascismo ai cantautori degli anni 60/70», scrive il professore, pensando di essere uno storico della musica. Sconcertata la reazione del padre della ragazza: «Un’adolescente pone una questione, dà un’opinione, e invece di creare dibattito le si dice di stare zitta?».
Negli anni settanta la rivista l’«Italiano» di Pino Romualdi elogiava Lucio così: «Non si è lasciato intruppare fra gli pseudo-artisti di sinistra che si appoggiavano alla macchina propagandistica del partito comunista (…). Chi, come lui – scriveva Daniele Gaudenzi – non va in cerca di una facile popolarità, ma sa di essere autenticamente anticonformista, possiede una personalità propria e non rinuncia ad avere delle idee… Non esista a frequentare i suoi veri amici della destra e a manifestare concretamente la sua solidarietà anche quando ciò può apparire inopportuno». Quest’ultimo riferimento sembra incontrare la vulgata che descrive la famiglia Battisti vicina a Soccorso Tricolore, sodalizio che in sinergia con «il Borghese» raccoglieva donazioni per l’assistenza legale ai giovani di destra vittime della violenza antifascista (i dettagli prima o poi emergeranno dagli archivi del tempo conservati al Ministero dell’Interno). Due intellettuali della destra romana, negli anni novanta, confermavano ancora la vicinanza di Battisti all’area non conformista: Paolo Signorelli lo descrive come un giovane simpatizzante ordinovista; Adalberto Baldoni come «un punto riferimento», anche se mai tesserato, per la Giovane Italia.
Mogol, storico paroliere di Battisti, ogni volta che si discute di «Battisti politico» tende a stemperare i toni, salvo ammettere che «all’epoca, negli anni Sessanta e Settanta, o andavi in giro con il pugno alzato e cantavi Contessa, oppure eri fascista. O qualunquista». A sinistra, di sicuro, è stato a lungo ostracizzato. La scrittrice Lidia Ravera ha ricordato che era ligia ai diktat della sinistra extraparlamentare, salvo quando trasgrediva ascoltando l’autore de «La canzone del sole».
Se destra e sinistra contano sempre meno, in tempi di politica liquida, questa dicotomia può apparire surreale se accostata al genio di Battisti, vero cantore dell’amore eterno e della tradizione in note, in cult come «Il mio conto libero» o de «La collina dei ciliegi». Poi c’è un aneddoto storico-famigliare ricostruito da Filippo Angora in «Nel cuore, nell’anima. Omaggio a Lucio Battisti»: «Il padre, ai tempi della guerra, era il capo della milizia di Poggio Bustone e (…) per Lucio fu un grande trauma assistere al pestaggio» del proprio genitore da parte dei partigiani.
Per lo scrittore Gianfranco de Turris, «una larga fascia del mondo di destra si riconosceva nella visione del mondo di Battisti, al di là delle sue vere e ignote idee politiche». Fermiamoci, fermatevi qui. E alzate il volume: «La veste dei fantasmi del passato/ cadendo lascia il quadro immacolato / e s’alza un vento tiepido d’amore / di vero amore / e riscopro te». (da Il Tempo)
mercoledì 31 agosto 2016
IL NOSTRO IMPEGNO PER I TERREMOTATI
Questa mattina i nostri militanti insieme a quelli di Casaggì Firenze, Casaggì Pisa e Casaggì Siena hanno consegnato il materiale raccolto in favore delle popolazioni terremotate.
Per consegnare la grande quantità di materiali abbiamo usato un furgone e impiegato alcune auto; ciò dimostra la grande generosità dei nostri concittadini che in pochi giorni si sono mobilitati per dare il proprio contributo.
Il materiale è stato, in accordo con le associazioni predisposte, consegnato nel punto di raccolta allestito ad Arezzo e gestito dal Comune insieme a Croce Rossa, Croce Bianca, Misericordia, Cesvot, Caritas, consulta del volontariato di protezione civile; questo punto di raccolta che è in contatto diretto con i campi dove alloggiano gli sfollati,si occupa di dilazionare nel tempo e consegnare il materiale direttamente sul posto,senza aggravare il lavoro degli altri centri di smistamento.
Abbiamo cercato nel nostro piccolo di dare un aiuto quanto più ampio possibile alla causa, in questi giorni abbiamo tenuto sempre aperta la nostra sede in Via del Poggiolo 3 a Montepulciano per consentire a tutti di portarci il materiale da donare e una volta conclusa la raccolta è stato tutto inscatolato ed inventariato per facilitare il lavoro dei volontari.
Continuiamo a mantenerci attivi su questo fronte e siamo disponibili a riattivare la raccolta, eventualmente più mirata non appena seguiranno ulteriori indicazioni, in quanto i volontari della protezione civile ci hanno assicurato che l'emergenza è tutt'altro che conclusa e si protrarrà per i prossimi mesi.
Grazie a tutti coloro che ci hanno dato fiducia ed hanno contribuito attivamente a portare la propria solidarietà a chi ne ha veramente bisogno.
Ecco la lista completa dei materiali raccolti e consegnati dai nostri militanti questa mattina. Un grazie a tutti coloro che hanno donato.
Nei prossimi giorni daremo informazioni relative ad un eventuale prolungamento della raccolta.
GENERI ALIMENTARI
Pasta 70 kg
Pasta senza glutine 2 kg
Acqua 90 l
Passata di pomodoro 20 kg
Biscotti 8 kg
Latte 30 l
Pasta per bambini 5 confezioni
Omogeneizzati 63 barattoli
Biscotti per bambini 4 kg
Tonno in scatola 7 kg
Sgombro in scatola 500 g
Zucchero 8 kg
Farina 5 kg
Riso 5 kg
Succhi di frutta 98 pezzi
Orzo solubile 2 kg
Caffè 3 kg
Fette biscottate 500 g
Fagioli 1kg
Ceci 1 kg
PRODOTTI PER L’IGIENE
Sapone – bagnoschiuma 35 l
Shampoo 5 l
Saponette 5 pezzi
Dentifricio 15 confezioni
Spazzolino da denti 10 confezioni
Schiuma da barba 5 bombolette
Lamette da barba 50 pezzi
Assorbenti 15 pacchi
Salviette detergenti 18 pacchi
Carta igienica 60 rotoli
Fazzoletti di carta 27 pacchetti
Pannolini 350 pezzi
Repellente per zanzare 5 flaconi
ALTRO
Sacchi della spazzatura 330 pezzi
Tovaglioli di carta 700 pezzi
Piatti di plastica 1260 pezzi
Forchette di plastica 230 pezzi
Coltelli di plastica 200
Bicchieri di plastica 700 pezzi
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lunedì 22 agosto 2016
Il piccolo Omran e quella verità nascosta, che dovrebbe indignarvi
di Marcello Foa (ilgiornale.it)
Vi siete commossi per il piccolo Omran salvato dalle macerie di Aleppo? Certo che sì, ci siamo commossi tutti. Però la storia andrebbe contestualizzata, cosa che quasi nessuno ha fatto.
Non mi riferisco tanto alla possibilità che l’immagine sia stata costruita ovvero che si sia trattata di una “photo opportunity”, ovvero di una sequenza in apparenza spontanea in realtà costruita ad arte, evocata da alcuni blogger. Che sia autentica o ritoccata è stata usata per una campagna di propaganda tipica dello spin, con la speranza di suscitare un’altra ondata emotiva e in seconda battuta politica, analoga a quella provocata da un’altra fotografia celebre, quella del piccolo Aylan sulle spiagge turca. Quegli scatti indussero la Germania ad aprire le frontiere, rendendo moralmente accettabile il flusso di migranti verso l’Europa, flusso che oggi è diventato incontrollabile, dimostrando quanto improvvida fu la decisione di Frau Merkel.
Ecco perché anche oggi bisognerebbe evitare di non limitarsi all’emotività e di capire bene quale sia la vera posta in gioco.
In estrema sintesi l’equazione che viene proposta dai media e dai politici mainstream è la seguente i russi e Assad hanno bombardato Aleppo, colpendo dei bimbi innocenti come Omran. L’Occidente non può rimanere insensibile e deve intervenire in difesa della popolazione civile e in difesa dei ribelli islamici che combattono contro Assad e che – badate bene – non sono dell’Isis ma sono moderati e nostri amici.
Non è un caso che negli Stati Uniti voci autorevoli invochino proprio in queste ore un intervento della Nato in Siria.
Moderati? Amici?
Siamo sicuri?
Il sito Information Clearing House ha ricostruito chi è davvero l’eroico fotografo che ha scattato l’immagine di Omran nell’ambulanza. Si chiama Mahmoud Raslan e non è propriamente un novello Gandhi. Sulla sua pagina Facebook ha postato più volte commenti inneggianti al martirio dei kamikaze islamici e alla Guerra e appare più volte con la banana tipica del jihadista. Ma soprattutto appare in un selfie con due membri di un commando del gruppo militanti “Zenkie” e protagonista di un episodio orribile.
l fotografo di Omran con i guerriglieri del commando che hanno sgozzato un bimbo di 12 anni.
Trattasi dell’arresto, sempre ad Aleppo, di un bambino palestinese di 12 anni. Guardatelo nella foto: ha smagrito, ha l’aria smarrita, è figlio di una famiglia di profughi. Gli operatori umanitari e persino gli altri gruppi presenti ad Aleppo hanno negato che si trattasse di un terrorista, di un baby, molto baby terrorista. Verosimilmente ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma i militanti di Zenkie non hanno voluto sentir ragioni. Lo hanno preso, caricato su un pick-up attorniato da un un gruppo di militari esaltati, giubilanti per aver catturato un “nemico”. Di dodici anni. Tra di loro due persone. Sono le stesse due persone che appaiono anche in un selfie con un raggiante Raslan.
Potrei mostrarvi il video di quel che accade dopo, ma non ne ho il coraggio. Quelle immagini hanno anche shoccato anche me.
I guerriglieri hanno fermato il pick up in una strada, hanno legato le mani del povero bambino dietro la schiena, lo hanno sdraiato a pancia in giù. Un giovane si è avvicinato con un coltello, gli ha alzato la testa, sgozzandolo e poi decapitandolo.
Ecco, questi sono i ribelli moderati per cui la Nato dovrebbe mobilitarsi.
Ecco, questi sono gli episodi che dovrebbero indignare l’Occidente, ben più della commovente foto di Omran ma scommetto che pochi di voi ne erano al corrente. Eppure l’esecuzione è avvenuta il 25 luglio, nemmeno un mese fa.
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giovedì 4 agosto 2016
Il “Sì” alle droghe libere come nuovo dogma del razzismo etico
di Marcello Veneziani (barbadillo.it)
Sentivamo che mancava qualcosa al catechismo dei Sentimenti Leciti e Illeciti a norma di legge. C’era stata la legge sull’omofobia e subito dopo l’annuncio di Renzi sulle unioni gay; c’era stato l’attacco alla legge Bossi-Fini per spalancare le porte agli immigrati clandestini; poi c’è stato il femminicidio, nel senso che chi uccide una donna è più assassino di chi uccide un uomo; c’era stata la proposta di punire le opinioni razziste e xenofobe, seguendo l’esempio della Francia, Madre e vittima di tutte le tolleranze e le intolleranze. E c’è stata infine l’imposizione dell’Europa, sempre attenta e solerte quando si tratta di rimettere in discussione la famiglia tradizionale, ad accettare senza battere ciglio che ognuno si scelga il cognome che vuole, di mammà o di papà. Però mancava qualcosa. Già, mancava la liberalizzazione delle droghe soft. È bastato che Obama, il Papa dei Diritti Civili, desse la benedizione alla nuova ondata e che il Colorado legalizzasse la cannabis e via col solito fronte pro-droga.
Proibire è inefficace, dicono i liberalizzatori, produce disastri. Non credo che proibire serva a molto, è vero. Ma se è per questo neanche il contrario. Gli esempi che abbiamo da ambo i versanti non ci confortano. Non vivono meglio i Paesi bassi, e alticci, che l’hanno legalizzata, non sono più civili coi loro parchi dello squallore e col loro turismo tossico. E non mi pare che il traffico clandestino – l’orrendo racket alle fonti e i pusher per strada – ne risenta granchè. Allora il problema va visto sotto un altro profilo, non è solo questione di efficacia: una società deve o no stabilire i confini tra ciò che è lecito e ciò che è illecito, deve indicare, soprattutto ai suoi ragazzi, quali sono i comportamenti da premiare e quelli viceversa da scoraggiare, deve stabilire o no una linea di confine tra ciò che danneggia e degrada i singoli e le comunità e ciò che non danneggia e non degrada? Deve poi demarcare la linea tra ciò che attiene alla sfera privata e ciò che ricade sulla sfera pubblica? Perché lo Stato dev’essere intollerante con bische e prostitute e liberale con droghe e clandestini? È degno di un paese che vuol tutelare i diritti civili perseguire le opinioni in ordine alla razza, al sesso, alla nazione, e invece liberalizzare le droghe leggere e dunque i comportamenti che ne conseguono una volta perduta o sospesa la lucidità della ragione e il controllo dei propri impulsi? Perché punire il dire scorretto e permettere il fare scorretto?
Curioso poi quel puritanesimo isterico contro le sigarette e quel permissivismo tardosessantottino con la marijuana. O quel salutismo schizofrenico per cui dolci e grassi sono veleno, mentre la cannabis rientra nel libero arbitrio…
Non si tratta di fare i bacchettoni o gli struzzi e non guardare la realtà presente. Né di tifare contro i comunardi per i giovanardi. Né si tratta di demonizzare chi ne fa uso; più semplicemente si tratta di scoraggiare l’uso senza con questo disprezzare e dannare chi ne fa uso. Una società è viva se sa reagire alle proprie tendenze autodistruttive e se è in grado di riconoscere modelli positivi e modelli negativi di vita. Si tratta di saper vivere in una civiltà, con i diritti e i doveri che comporta, di aver il rispetto di sé, degli altri e delle regole; di riconoscere i confini della propria libertà, che è poi l’unico modo per rendere preziosa e concreta la libertà stessa, che sconfinando, si disperde, si svaluta e si rovescia nel suo contrario. E così propizia nuove tirannidi e nuove proibizioni, magari impartite dal Codice Ideologico del Politically Correct, la Buoncostume del nuovo razzismo etico
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martedì 12 luglio 2016
Commercio mondiale: libertà di saccheggio
da: rinascita.net
Strano a dirsi ma, in mezzo al frastuono globale di notizie piccole e grandi, di maggiore o minore importanza, tra pettegolezzi, selfie e quant’altro, oramai elevati ad imprescindibile biglietto da visita per la nostra vuota civiltà, per la quale di tutto e di tutti, si deve dire e di più, all’insegna di una onnicomprensiva ed opprimente interconnessione, bene, in mezzo a tanto magniloquente starnazzare, sembra sia passata assolutamente sotto tono una di quelle notiziole che dovrebbe, invece, far tremare le gambe a qualunque individuo dotato di un minimo di raziocinio. In mezzo a tanto cianciare di crisi globale, di fine del primato degli Stati Uniti sul mondo ed altre simili amenità, zitti zitti e quatti quatti, proprio loro, gli USA si sono portati a casa dei successi di non poco conto, costituiti da quegli accordi di cooperazione internazionale e di ulteriore spinta all’apertura dei mercati di quelle nazioni che ne fanno parte. Parliamo di Tpp, Tisa e Ttip.
La prima sigla sta per Partenariato Trans-Pacifico (Tpp) ed è stato sottoscritto da dodici paesi che compongono il 40% del Pil mondiale: Usa, Messico, Perù, Cile, Giappone, Vietnam, Singapore, Brunei, Malesia, Australia e Nuova Zelanda. Questo tipo di accordo, si basa su tutte quelle asimmetrie tra i suoi membri che, notoriamente, finiscono con il favorire gli Usa, i principali interessati alla sua attuazione in quanto economia in posizione predominante tra quelle risultanti in questo elenco.
Il Tpp nasce inoltre con la finalità di creare un contrappeso alla crescita della Cina nel contesto geo economico asiatico, dove quest’ultima sta appunto assurgendo ad un ruolo primario. Il Giappone, da “competitor” a socio privilegiato degli Usa nell’area, è, in verità, divenuto la punta di lancia di questa strategia.
La seconda sigla sta per Accordo di Scambio sui Servizi (Tisa) ed è recentemente stato concluso a seguito di un negoziato svoltosi nel più grande segreto. Il Tisa permetterà alle varie “corporations” finanziarie di esportare tutti i dati personali dei consumatori attraverso le frontiere, contraddicendo, in tal modo, le attuali leggi sulla protezione dei dati, oggidì in vigore in molti paesi. Un’altra “sorpresa” del Tisa sta nel fatto che quelle stesse compagnie finanziarie internazionali, vengono “de iure” e “de facto” esentate dal rispetto delle normative del paese in cui agiranno, a patto che quelle stesse azioni siano permesse nel paese di provenienza. Così, tanto per cambiare, le varie compagnie USA potranno tenere unicamente conto delle normative di Washington, passando tranquillamente sopra la testa di quelle dei locali contesti d’azione. Contrariamente alle aspettative, però, questo accordo, sottoscritto da Australia, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, Stati Uniti, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Svizzera, Taiwan, Turchia e Commissione europea ha, invece, trovato l’opposizione maggioritaria dei paesi del Mercosur, capeggiati dall’Uruguay del governo a maggioranza Frente Amplio, con la sola significativa eccezione della presenza del Paraguay, membro fondatore del Mercosur; il che ci fa capire che, anche in questo caso, la partita, per quanto riguarda l’America Latina, è tutt’altro che definita.
La terza sigla sta per Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (Ttip). Contrariamente agli altri due, il Ttip è ancora in fase di negoziazione e costituisce l’ulteriore tentativo di costituire un’area di libero commercio tra Usa e Ue. Anche in questo caso, i negoziati si svolgono in una condizione di segretezza che, probabilmente, giustifica quella che, del Ttip, fa un accordo “speciale”, ancor più dei suoi pari Tpp e Tisa. Difatti l’istituzione di un tribunale di arbitrato in grado di agire in modo totalmente autonomo ed indipendente, ripetto al sistema giuridico di ciascun paese al fine di favorire gli investimenti stranieri, fa di questo accordo, il momento clou di un sistema, creato proprio al fine di portare l’attacco finale all’autonomia delle scelte economiche dei vari stati nazionali, strangolandone de facto l’indipendenza. Un fatto questo che, per un’Europa attanagliata da una pluriennale crisi recessiva, ingenerata dall’ultimo ciclone finanziario partito da Oltreoceano cinque anni fa, potrebbe rivelarsi esiziale. Come possiamo quindi constatare, gli USA, contrariamente alle frettolose previsioni di qualche sprovveduto analista, attraversano tutt’altro che una fase di inesorabile decadenza. Le spese interne ed estere, l’esposizione debitoria verso la Cina (attraverso il massiccio acquisto da parte di quest’ultima di titoli del debito USA, sic!), oltre alle varie tempeste finanziarie, non sembrano averne minato granchè nè tenacia, né aggressività e né protagonismo, sulla scena politica ed economica mondiale. Questo perché, qualcuno ha forse dimenticato che, in primis, gli USA sono i maggiori esportatori al mondo di valuta. Il dollaro, ancor oggi è il punto di riferimento per tutte le transazioni economiche e finanziarie mondiali e, pertanto, gli Stati Uniti detengono la maggior quota di circolante di valuta al mondo, assieme al gigante cinese. Ma la Cina, al pari dei vari BRICS (Brasile, Russia, India, Sudafrica, etc.) è un gigante dai piedi d’argilla. Le politiche espansive, le crescite impetuose, nascondono una debolezza costitutiva caratterizzata da instabilità politica, immense sperequazioni sociali, endemiche mancanze di infrastrutture e, spesso, da una difficile e problematica interazione politica ed economica con i propri vicini (come nel caso dei pesanti risvolti economici determinati dai rapporti tra Federazione Russa e Ucraina, esemplificati dalla pluriennale vicenda dei gasdotti….sic!). Quella di un mondo multipolare è, per ora, uno specchietto per le allodole, dietro al quale si nascondono realtà geoeconomiche la cui impetuosa crescita è unicamente funzionale al fatto di far girare, più rapidamente e meglio, i soldi dei vari investitori internazionali. I tentativi di soppiantare il Nuovo Ordine Mondiale a conduzione USA, con un ordine multipolare viene, de facto, vanificato dal vertiginoso turbinare di un capitalismo che si autoalimenta di crisi la cui frequenza, va facendosi sempre più serrata e la cui intensità ed estensione sempre maggiore, con buona pace per le speranze di alleanze raccogliticce e malandate la cui tenuta costituisce, unicamente, un fenomeno di facciata, destinato ad infrangersi di fronte alle prime, serie, difficoltà. Tutto questo non significa, però, che gli USA siano i reali protagonisti e registi di certi fenomeni. Va, ad onor del vero, rimarcato il fatto che gli Stati Uniti, oggidì, fungono al ruolo di semplice gendarme ed esecutore dei “desiderata” dei poteri forti, di cui le grandi “corporation” finanziarie multinazionali, sono l’espressione più evidente. Certo, il fatto che quegli stessi centri di potere, delle volte preferiscano decentrare i propri interessi su altri contesti, è un fatto di puro tatticismo, che risponde unicamente alla necessità di sopperire e compensare con una più ampia dislocazione, ad eventuali perdite finanziarie, tanto più significative, quanto più capitali e risorse siano concentrati su un solo paese, fossero anche gli USA. Resta il fatto che, al di là dei vari tatticismi, la strategia di attacco agli stati nazionali ed alla loro libertà è oggi ad un punto cruciale, perché si innesta in un momento di crisi economica generale che tocca dal vivo sia i lavoratori che la classe media. Privatizzazioni selvagge, delocalizzazioni, licenziamenti di massa, fiscalismo esasperato, abolizione delle tutele sociali, accomunano in un fronte trasversale interessi e situazioni, sino a poco tempo fa incompatibili. Nell’ America Latina degli inizi di questo secolo, imponenti mobilitazioni e manifestazioni in Argentina, Brasile e Venezuela, contribuirono al successo dell’opposizione all’ALCA (Area di libero commercio delle Americhe), da parte di Kirchner, Lula e Chávez. La recente manifestazione di Berlino, con la partecipazione di 250mila persone contro questi accordi, costituisce, in questo senso, sicuramente un segnale favorevole, ma non sufficiente. Il sin troppo sparpagliato fronte di lotta al Globalismo liberista, ha oggi bisogno di un collante in grado di accomunare, istanze e prassi troppo spesso lontane e scollegate. Questo elemento, in grado di accomunare istanze ideologiche con prassi meramente politiche, è rappresentato dalla democrazia diretta, la cui applicazione andrebbe orientata unicamente in direzione di quei grandi processi decisionali che coinvolgono la globalità della vita di una comunità nazionale, come, per l’appunto, quei grandi accordi economico-finanziari, sottoscritti senza il consenso e la partecipazione di quelle masse di lavoratori e consumatori che, invece, per prime ne subiscono gli effetti. La stipula di questi accordi ed il malcontento che ne segue, potrebbe rappresentare un valido incentivo verso la creazione di quel Frente Amplio che, caratterizzato da una lotta senza quartiere al capitalismo liberista, porti a proprio comun denominatore la prassi di una democrazia diretta, in grado di contrapporsi risolutamente ad ogni iniziativa o tentativo di soffocamento della libertà e dei diritti da parte del liberismo capitalista e dei suoi scherani di sinistra e di destra.
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lunedì 11 luglio 2016
Daesh abbandona le sue armi. E sono targate USA
Ma guarda un po’, Daesh si da a gambe levate e lascia sul posto il suo arsenale. Così si scopre che è tutto rigorosamente firmato USA. Sarebbero quelle armi che USA ha regalato ai ribelli cd. moderati anti-Assad, come se non si sapesse che si tratta della stessa feccia maleodorante di Daesh.
(www.difesonline.it) – Fonti militari irachene aiutano a vederci chiaro intorno agli eventi successivi alla liberazione di Falluja.
Innanzitutto l’attacco letale al convoglio di jihadisti in fuga del 29 giugno sarebbe stato messo in atto dall’aviazione irachena. Il Joint Special Operation Command avrebbe dato via libera alle forze aree di Baghdad dopo il rifiuto delle forze della Coalizione di iniziare l’azione a causa dell’alto numero di civili mischiati al convoglio. Le stesse fonti militari parlano di “famiglie di jihadisti in fuga”.
I miliziani dello Stato Islamico scampati all’attacco avrebbero poi lasciato sul terreno un quantitativo enorme di armi e veicoli, subito sequestrati dalle forze irachene. Tra le armi abbandonate ci sarebbe un numero impressionante di M79 OSA, armi anticarro di fabbricazione serba fornite in grande quantità dal Dipartimento di Stato USA ai cosiddetti “ribelli moderati” siriani. Originariamente le armi erano destinate al Free Syrian Army come deterrente contro le truppe corazzate di Damasco. Perché le armi siano finite in mano al Califfato è tutto da scoprire. I legami fra fronti ribelli siriani e islamisti non sono una novità ma le perplessità sui programmi di addestramento e sulle politiche mediorientali del Dipartimento di Stato aumentano.
sabato 9 luglio 2016
Lezione di sovranità da Ungheria: sui migranti voterà il popolo
da: azionetradizionale.com
Brexit? Forse solo l’inizio di un effetto valanga e, forse, dai risvolti anche positivi. Lo ha capito il premier Orban che, per il 2 ottobre prossimo, ha convocato un referendum per chiedere al popolo ungherese se vuole o meno gli immigrati redistribuiti dalla UE sul suo territorio. Una bella lezione di “democrazia” da parte di chi “democratico” non è.
(www.repubblica.it) – Dopo la vittoria del leave al referendum britannico sul Brexit, un’altra consultazione popolare si annuncia in un paese membro della Ue e della Nato, l’Ungheria. E sarà un difficile e importante test della “voglia d’Europa” nelle opinioni pubbliche dell’Unione. Il capo dello Stato ungherese, Jànos Ader, ha formalmente comunicato oggi che è stata scelta la data del 2 ottobre per il referendum in cui i cittadini magiari saranno chiamati a dire se accettano o no una ripartizione di quote di profughi e migranti decisa dall’esecutivo europeo.
Vista la forte paura verso l’immigrazione – specie dopo la grande ondata dell’estate scorsa, e la costruzione della barriera di filo spinato alla frontiera serba, poi prolungata a quella croata – e considerata l’altissima popolarità e il carisma del premier nazionalconservatore Viktor Orbàn, ideatore della consultazione, una vittoria del no sembra quasi scontata.
Ecco la domanda che i cittadini leggeranno sulla scheda elettorale del referendum: “Volete che l’Unione europea, anche senza consultare il Parlamento ungherese, prescriva l’immigrazione in Ungheria di persone che non sono cittadini ungheresi?”. Da tempo Orbàn si è detto assolutamente contrario alla politica europea della ripartizione in quote, e in questa sua linea dura trova il consenso della grande maggioranza del Paese. Sulla stessa posizione lo hanno seguito gli altri tre Paesi del centroest europeo membri di Ue e Nato, cioè Cèchia, Polonia e Slovacchia, membri insieme all’Ungheria del “Gruppo di Viségrad”. Il Gruppo di Viségrad, organo di cooperazione regionale di quei 4 paesi, tutti Stati dove le dittature comuniste finirono con la svolta del 1989, sta diventando sempre più un’alleanza del fronte della fermezza dell’Est di Unione e Alleanza contro i profughi. Una posizione che non esita a scontrarsi con quelle di Bruxelles (intesa come Ue), Roma, Berlino o Parigi.
Nel settembre scorso, la Ue aveva deciso di ripartire in altri Paesi per quote 160mila profughi da Italia e Grecia, aree di transito sovraffollate. Secondo i piani di Bruxelles l’Ungheria avrebbe dovuto accoglierne 2300 circa, ma il premier magiaro, col paese alle spalle che lo appoggia, si è subito opposto, e in dicembre ha sporto denuncia alla Corte europea di giustizia contro l’idea dei contingenti di profughi e migranti da ripartire. Da allora, egli aveva cominciato a parlare di referendum. L’Unione europea, ha dichiarato più volte Orbàn, “non può permettersi di prendere decisioni alle spalle dei popoli e contro la volontà dei popoli ,decisioni che cambiano la vita dei popoli e delle loro generazioni future”.
La linea di Orbàn – che di fatto a causa del dibattito sul problema dei migranti è cresciuto come vero statista-leader del centroest euro minimalista – è criticata da Commissione e Parlamento europeo, e un compromesso non appare in vista. Il governo di maggioranza ungherese, con due forti vittorie elettorali alle spalle (201 e 2014) e di fronte a sé un’opposizione debole, spesso divisa e priva di creatività politica, è in generale contrario a un’eccessiva, accentuata integrazione politica europea, difende competenze e poteri degli Stati nazionali. E ha commentato con dispiacere la decisione degli elettori inglesi di abbandonare la Ue, notando che “il voto del Regno Unito mostra quali rischi l’Europa corre quando non ascolta i popoli”. Rammarico ben comprensibile: per Budapest, come per Varsavia, Londra in generale eurominimalista era di gran lunga il più importante alleato nella Ue.
Contemporaneamente, l’Ungheria ha annunciato che da oggi entra in vigore per gli immigranti illegali la procedura di espulsione immediata, cioè senza che l’espulsione stessa sia preceduta da un esame di eventuali richieste d’asilo. Da oggi, chiunque sarà scoperto dopo un ingresso illegale nell’arco di otto chilometri entro le frontiere ungheresi sarà immediatamente ricondotto dalle forze di sicurezza ai reticolati che blindano l’Ungheria ai confini con la Serbia e la Corazia. Lo ha annunciato Gyoergy Bakondi, consigliere per la sicurezza interna del capo del governo, spiegando che il Parlamento ungherese (Orszaghàz), dove la Fidesz (il partito guidato da Orbàn) ha posizione di forza prominente, ha già approvato la decisione. Secondo il premier si tratta di decidere sull’indipendenza del Paese e sul suo diritto di scegliere con chi convivere.
venerdì 8 luglio 2016
Gli iracheni sbaragliano l’ISIS, ma la stampa italiana attribuisce tutto agli Stati Uniti
da: l'Opinione Pubblica
In Iraq gli esperti del Pentagono hanno ripetuto per settimane che la presa di Fallujah sarebbe stata operazione lentissima, faticosa e oltremodo sanguinosa. Secondo le stime degli esperti militari la popolazione civile di confessione sunnita si sarebbe schierata con l’ISIS o con le milizie sciite addestrate dall’Iran che si sarebbero abbandonate a vendette e saccheggi.
Niente di questo è successo, Fallujah è tornata in mano irachena rapidamente con la popolazione civile che ovunque abbia potuto si è data alla fuga e ha fornito informazioni utili alle milizie che liberavano la città.
Ma esiste, purtroppo una stampa italiana che ha serie difficoltà quando si tratta di riconoscere meriti a potenze in ascesa come la Russia. Infatti se le milizie del paese invaso dall’ISIS riescono ad avanzare velocemente su alcuni fronti, bisogna ringraziare soprattutto la tecnologia e gli equipaggiamenti di marca russa cui sono forniti. Invece i continui bombardamenti di apparecchi ad ala fissa e mobile con cui l’Aviazione Irachena, equipaggiata in massima parte con macchine russe, ha distrutto le colonne dei terroristi in fuga da Fallujah e dintorni, sono stati immediatamente attribuiti all’Aeronautica Usa, quella che, lo ricordiamo, all’apice della sua campagna anti-ISIS compiva sei missioni al giorno, spesso sbagliando bersaglio e colpendo gli irakeni o lanciando munizioni e rifornimenti sulle posizioni del Califfato.
Gli Usa, ricordiamolo, finora hanno fornito all’Iraq solo quattro F-16, e hanno nicchiato talmente tanto sulla vendita degli elicotteri d’attacco “Apache” da esasperare Nouri al-Maliki (all’epoca Premier irakeno) spingendolo a rivolgersi a Mosca, che prontamente ha fornito elicotteri Mi-35 e soprattutto Mi-28, i “Cacciatori della Notte” dotati di cannoncino da 30mm, 16 missili anticarro e pod di razzi da 80 o 122mm.
Gli Usa, nonostante i loro proclami roboanti, non hanno mai preso nessuna risoluta iniziativa contro l’ISIS, forse sperando che l’orda di Al-Baghdadi riuscisse a spaccare la Mesopotamia lungo linee etniche e a togliere le leve del potere statale alla maggioranza sciita della popolazione e ai partiti politici che ne sono espressione.
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giovedì 7 luglio 2016
De Benoist: “Il patriottismo? Amare i propri non significa odiare gli altri”
di Nicolas Gauthier (barbadillo.it)
Per alcuni partiti politici l’unica linea di frattura è tra i “nostri” e gli “altri”. Non è un concetto un po’ smilzo?
“Soprattutto, è equivoco. Si vuol dire che per principio è sempre legittimo preferire i “nostri” o che, rispetto agli “altri”, i “nostri” hanno sempre ragione? Il vecchio principio “my country, right or wrong” è spesso mal interpretato. Non significa affatto che si debba dare ragione al proprio paese anche quando ha torto ma che, anche quando ha torto, resta il proprio paese: non è lo stesso.
Per ammettere, inoltre, che il proprio paese possa avere torto, bisogna disporre di un criterio di giudizio che vada al di là della sola propria appartenenza. In mancanza di tale criterio, la verità si riduce all’appartenenza, cioè alla mera soggettività. E’ la concezione sviluppata da Trotsky ne “La loro morale e la nostra” (1938). Non è la mia. Sulla preferenza, invece, non ho obiezioni. L’appartenenza comune alimenta, non solo nell’uomo ma anche negli altri animali, un sentimento naturale che porta a preferire quelli che ci sono più vicini, che ci somigliano e che possono riconoscerci. Non ne segue che dobbiamo detestare gli altri. In genere, un uomo preferisce i suoi figli ai figli degli altri. Se suo figlio sta annegando assieme a uno dei suoi compagni, cercherà di salvare per primo suo figlio. Ci sono, certo, eccezioni, a volte giustificate, ma confermano la regola.
Nondimeno il patriottismo è diventato oggi, agli occhi di molti, un’idea vetusta, degna di quella “Francia appassita” stigmatizzata a suo tempo da Philippe Sollers. Come si è arrivati a ciò?
“ottima domanda. Lattanzio, soprannominato “Il Cicerone cristiano”, diceva agli inizi del IV secolo che “l’attaccamento alla patria è, nell’essenza, un sentimento ostile e malevolo”. Pare aver fatto scuola. Ma come si è giunti a demonizzare il sentimento naturale di preferenza per i propri? Cerco di abbozzare una risposta. Sull’onda dell’ideologia del progresso, dapprima si è squalificato il passato per il solo motivo che la modernità attribuisce più valore al presente che al passato. Il passato, portatore di valori e di esempi superati, non ha quindi più niente da dirci. Al peggio è un errore, al meglio un annuncio imperfetto delle categorie moderne. Poi le grandi ideologie universaliste ci hanno convinti in primo luogo che tutti gli uomini sono ovunque gli stessi, poi che fra quelli identici ce ne sono comunque alcuni peggiori degli altri: gli europei. Questa convinzione ha spalancato le porte del pentimento: bisogna pentirsi, se non scusarsi di esistere. Amore dell’altro, odio di sé. Un debito infinito verso il resto del mondo, la redenzione tramite l’immigrazione. Come scrive Francois Bousquet, “il maggioritario è tre volte colpevole: in quanto maschio (processo per misoginia), in quanto eterosessuale (processo per omofobia), in quanto bianco (processo per razzismo)”. Ci si è anche impegnati a screditare tutto ciò che appartiene all’ordine della natura, dell’ancoraggio o del radicamento. Yann Moix dichiara fieramente che “la nascita non può essere biologica”, perché nascere “è affrancarsi dai propri geni”, cosa di cui è capace solo “chi preferisce gli orfani ai figli di famiglia, gli adottati ai programmati, i fuggiaschi ai successori, le devianze alle discendenze”. Il filosofo Ruwen Ogien scrive: “Si pone il problema di capire perché una donna dovrebbe preferire i propri figli a quelli del vicino, per il semplice fatto che sono biologicamente i suoi, quando tutti hanno lo stesso valore morale in quanto persone umane”. Infine, si è desacralizzato. Anche se alla fine è stato annullato, l’invito rivolto al rapper Black M di venire a cantare a Verdun rientra in questo quadro (Prokofiev a Palmira, Black M a Verdun, due mondi). Ancor più notevole sono le parole pronunciate da Najat Vallaud-Belkacem per giustificare che si possa ancora cantare la Marsigliese: “La Marsigliese è un inno nazionale rivolto all’universale. Il suo posto nella nostra scuole è dunque molteplice, diverso e vario. Si basa sulla voce, lo strumento più democratico che ci sia. Questo ordito di imbecillità esprime una vera contorsione mentale. Nello stesso spirito ci si impegna a rappresentare le opere di Wagner con messe in scena grottesche, per screditare il contenuto ideologico del libretto”.
L’antirazzismo ha svolto un ruolo…
“Il razzismo di cui oggi si parla non ha nulla a cui vedere con le razze. Il termine è diventato un comodo operatore che consente di stigmatizzare ogni critica rivolta a minoranza le cui rivendicazioni si esprimono nel linguaggio dei diritti onde mettere la maggioranza in imbarazzo e renderla estranea a se stessa. Dalla battuta alla “molestia”, tutto ciò che può essere percepito come sgradevole, spiacevole, umiliante, offensivo da questo o quell’individuo a causa della sua appartenenza a questo o quel gruppo, è considerato “razzismo”. Non si nasconde, del resto, che anche una definizione oggettiva del razzismo sarebbe discriminazione: “un atteggiamento percepito come razzista da una persona “razzistizzata” deve essere considerato tale senza discutere. Sono legittimate a definire il razzismo di una situazione solo le persone “razzizzate” in causa”, si è potuto leggere in un testo recente. In parallelo , al cinema i film di fantascienza hanno preso il posto dei western, perché solo con gli extraterrestri si può immaginare una lotta senza quartiere senza “discriminare”. Il razzismo ha finito così per raggruppare tutte le “fobie” nei cui confronti sensibilità esasperate esigono risposte istituzionali e giudiziarie. La legge è chiamata più che mai a consacrare il sentimento o il desiderio. Ritroviamo, qui, i disastri causati dalla soggettività. la figura del nomade, dell’individuo estraneo al suolo, disincarnato, che non è “determinato” da alcunché e si crea liberamente da solo si è imposta a poco a poco, mentre la “società aperta” si imponeva come l’insuperabile orizzonte del nostro tempo”.
giovedì 30 giugno 2016
In ricordo di Rino Daus
Oggi una delegazione dei militanti di CASAGGì Siena ha reso omaggio al primo caduto fascista senese: Rino Daus.
Questa mattina la Città era febbricitante, le bandiere colorano le vie, il tufo in Piazza si appresta ad assorbire i colpi fragorosi degli zoccoli dei cavalli e i contradaioli fremono per l’attesa. Non potevamo però non rivolgere un pensiero a Rino Daus caduto nel 1921 a Grosseto quando i fasci toscani tentarono, riuscendoci, di abbattere l’ultima roccaforte rossa della Toscana.
Rino era un senese di adozione, nato a Perugia nel 1900, Siena lo accolse dall’età di sette anni fino a quel 29 giugno 1921 quando, a Grosseto, durante un turno di guardia vide degli estranei ai quali intimò l’alt, essi gridarono “eja, eja, eja, alalà” e Rino gli andò incontro. Quel saluto era però la trappola ordita da coloro che vilmente lo freddarono, come era pratica ricorrente (e lo sarà anche nel futuro), a tradimento dileguandosi poi il più velocemente possibile.
Dopo quell’evento tutti i fascisti toscani si mobilitarono ed entrarono a Grosseto, occupandola e mettendo fine così allo strapotere rosso. Infatti gli iscritti al fascio locale, una decina, venivano costantemente vessati dai socialisti, comunisti e dalle istituzioni cittadine.
Rino Daus rappresenta il prototipo del militante modello: giovane, ardito, scevro da ogni arrivismo ma sposato alla causa tanto da donargli la propria vita. Quel giorno poteva starsene tranquillamente nella sua Siena a godersi l’attesa per il Palio invece decise, seppur cieco da un occhio perso in un precedente scontro a fuoco a Montalcino, di andare in soccorso dei camerati maremmani.
Il suo sacrificio è per noi esempio.
Così descrive gli eventi “La Scure” rivista ufficiale della Federazione dei Fasci Senesi:
« Rino Daus si trovava nel pomeriggio del 29 con altri compagni presso la ferrovia del paese, per vigilanza. Scorti degli individui armati, fu dato il segnale d'allarmi. Questi hanno gridato in direzione dei fascisti il grido nostro: eja, eja, eja, alalà, avanzandosi. Il povero Rino andava loro incontro. Ad un certo momento una scarica di schioppettate lo colpiva al cuore, fulminandolo. E cadeva così nel tradimento più vile che si possa immaginare e che caratterizza ormai in modo indiscutibile l'attività del partito della delinquenza italiana, formato da disertori, da ladri, da spie, da briganti. E come tali subiranno la nostra legge. »
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mercoledì 11 maggio 2016
De Benoist a CASAGGì Firenze per parlare del Trattato Transatlantico
Sabato 7 maggio si è tenuta una magnifica e intensa serata con Alain de Benoist presso Casaggì Firenze. Il tema della conferenza era il Trattato Transatlantico (TTIP) al quale l’autore ha dedicato il suo ultimo libro (Il Trattato Transatlantico), che è stato analizzato nella sua interezza. Si è partiti elencando i settori economici e sociali nei quali si avranno le ripercussioni più evidenti e più nefaste, ricordando come il TTIP, che riguarderà il 60% del PIL mondiale, ha lo scopo di ancorare – attraverso l’apertura doganale e la creazione di un grande spazio di libero scambio – le economie e le società europee al sistema americano di regole e di interessi.
Uno dei punti centrali del negoziato fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America è la soluzione delle controversie in materia di investimenti. Il metodo prescelto consiste nella previsione di un arbitratointernazionale le cui parti siano le multinazionali e lo Stato ospite. Ciò significa che le multinazionali, prevalentemente made in USA, potranno citare in giudizio gli Stati se quest’ultimi non rispetteranno gli accordi presi o se, tramite leggi nazionali, modifichino alcuni punti del trattato stesso (esempio l’orario di lavoro, gli stipendi e molti altri diritti che ad oggi sono ad esclusiva volontà statale). I giudici chiamati a giudicare le possibili controversie saranno giudici privati e seguiranno la legislatura americana. Tutto ciò porterebbe ad un livellamento dei poteri all’interno di ogni singolo Stato con le multinazionali che vedrebbero i loro ruoli scalare molte posizioni arrivando ad affiancare il ruolo decisionale e legislativo dello Stato.
L’autore evidenzia un altro aspetto molto importante del TTIP: l’assoluta segretezza delle trattative. Infatti dal lontano 14/6/2013, ogni 5 mesi si tengono delle riunioni segretissime una volta a Bruxelles e una volta a Washington. Pochissimi sono coloro che hanno potuto udire e sono potuti entrare nelle segrete stanze dove venivano portate avanti le trattative. La maggior parte dei politici europei, i media, la popolazione e i giornalisti sono completamente all’oscuro. In pratica, non sappiamo chi realmente stia portando avanti i suddetti accordi. Come detto, l’obbiettivo principale del TTIP è l’abolizioni delle barriere doganali legate a un dazio economico fra Unione Europea e Stati Uniti. De Benoist evidenzia due diversi tipi di barriere doganali: il primo tipo sono le barriere doganali tradizionali, cioè quelle che una volta abbattute permetteranno lo scambio di merci attraverso l’Atlantico; l’altro tipo di barriere sono quelle invece non legate a un dazio economico, cioè tutto ciò che riguarda la vita privata di ogni singolo cittadino dell’Unione Europea.
Il TTIP metterà a repentaglio diversi settori fra cui quello dei diritti dei lavoratori, del welfare, dell’ambiente e dell’agroalimentare con l’invasioni di prodotti OGM e carni sottoposte agli ormoni della crescita (in particolare la Francia e l’Italia rischiano di perdere le denominazioni DOCG IGP DOP IGT e altre che non piacciono agli USA che vorrebbero invece liberalizzare la vendita di tali prodotti). La conclusione finale è che gli Stati Uniti imporranno il proprio volere soprattutto su quello che riguarda le libertà del cittadino. Il TTIP, infatti, nasce per subordinare definitivamente l’Europa alle volontà stabilite oltreoceano, proprio come si è già fatto ancorando la politica europea alla tecnofinanza e alle agenzie di rating, alle banche private e ai meccanismi anonimi del mercato, sempre più autoreferenziali e sempre più propensi a dettare le regole ad un mondo politico ormai ridottosi a governance, a entità burocratica e tecnica svuotata di ogni autonomia e di ogni volontà. Il TTIP ha dunque una duplice funzione: la prima è quella di rafforzare la posizione, la presenza, la pressione degli Stati Uniti sul vecchio continente; la seconda è una conseguenza della prima ed è quella diostacolare ulteriormente i dialoghi fra Unione Europea e Russia. De Benoist nel suo libro definisce il TTIP molto più di un mero patto economico, ma lo identifica come un parte integrante di quel processo di mondializzazione che sta schiacciando “come un rullo compressore” le sovranità e le identità delle Nazioni: un processo che non è soltanto prassi economica, ma anche ideologia: la volontà di omologare il mondo secondo una logica universale e schiacciante.
L’autore dedica all’Europa l’ultimo capitolo del suo libro. Dichiara che il più grande sbaglio è stato quello di “discreditare il concetto di Europa”. Alla nascita l’Europa era vista dai governi, ma soprattutto dai popoli, come un sogno, la fine delle ostilità fra Paesi, l’inizio di un lungo cammino di collaborazione economica, una strada da percorrere vicendevolmente. Oggi giorno quel sogno è svanito, e la maggior parte dell’opinione pubblica vede l’Europa, ma soprattutto le istituzioni europee, un problema, che va ad aggiungersi ai problemi che ogni singolo Stato ha e deve già affrontare. De Benoist afferma che “l’Europa è nata dall’alto e non dal basso con la creazione della Commissione che ha dato vita al resto. L’Europa è nata senza popolo. Dalla caduta dell’URSS l’idea prevalente è stata quella di allargare e non approfondire (sotto la spinta della Nato)”. Tuttavia l’Europa potrebbe uscire dal suo stato di coma e sottomissione attraverso un percorso di riappropriazione della sovranità, delle proprie tradizioni e del proprio spazio d’azione.
mercoledì 13 aprile 2016
VOTA "SI" AL REFERENDUM DI DOMENICA 17 APRILE
Siamo fermamente convinti che il voto di domenica sia necessario per dare un segnale preciso ai lobbisti ed alle multinazionali straniere che sfruttano i giacimenti di petrolio e gas presenti nel Mediterraneo. Abbiamo voluto sposare la causa del “SI” perché crediamo che attualmente le trivellazioni nel nostro mare vadano contro gli interessi italiani. La maggior parte delle aziende che gestisce le estrazioni sono straniere e sfruttano i giacimenti con dei diritti da versare nelle casse dello Stato assolutamente ridicoli! Attualmente si parla del 10% per il gas e 7% per il petrolio se pensiamo che in Guinea sono al 25% mentre in Norvegia e Russia sono al 80% capiamo subito che il Governo italiano sta facendo il gioco delle lobby straniere, favorendole e colpendo così un’azienda nazionale come ENI di cui lo Stato detiene la maggioranza delle azioni. Tale situazione non favorisce certamente la crescita industriale italiana e i posti di lavoro dei nostri connazionali. Allo stesso tempo siamo dalla parte dei pescatori italiani i quali denunciano da tempo le restrizioni e l’impossibilità di pescare in determinate aree. A ciò si collega anche il fattore ambientale, per noi non secondario. CASAGGì ha da sempre a cuore la tutela del territorio senza scadere in isterismi ed esasperazioni di cui sono vittime certi movimenti e partiti. Siamo certi che il futuro italiano debba essere segnato dallo sviluppo del turismo, dell’agricoltura e dell’industria, il tutto il più possibile in armonia con l’ambiente, quindi rigettiamo ogni forma di inquinamento non strettamente necessario alla crescita economica nazionale. Per queste ragioni abbiamo fatto quest’azione congiunta a Siena e provincia, ma il nostro impegno non si ferma qui! In questi giorni i militanti di CASAGGì Scuole, ossia i giovani delle scuole superiori che aderiscono alla nostra Comunità, sono davanti agli istituti per informare i loro coetanei sulle motivazioni di questo referendum che molto probabilmente influirà sul loro futuro.
Il Governo sta facendo di tutto per boicottare il referendum, prima lo divide dalle elezioni amministrative, nonostante le spese aggiuntive, poi lo stesso Renzi invita a non andare a votare, scordandosi che il voto oltre ad essere un “diritto” é un “dovere” di ogni italiano. Ciò ci fa pensare che Renzi stia difendendo gli interessi di tutte quelle multinazionali straniere che sfruttano i nostri giacimenti a costi per loro assai convenienti. Invitiamo i nostri simpatizzanti e tutti i cittadini ad andare a votare domenica 17 aprile e votare “SI” per dire “NO” alle lobby straniere del petrolio che sfruttano i nostri governanti incapaci di definire una precisa linea di sviluppo economico per l’Italia.
Il Governo sta facendo di tutto per boicottare il referendum, prima lo divide dalle elezioni amministrative, nonostante le spese aggiuntive, poi lo stesso Renzi invita a non andare a votare, scordandosi che il voto oltre ad essere un “diritto” é un “dovere” di ogni italiano. Ciò ci fa pensare che Renzi stia difendendo gli interessi di tutte quelle multinazionali straniere che sfruttano i nostri giacimenti a costi per loro assai convenienti. Invitiamo i nostri simpatizzanti e tutti i cittadini ad andare a votare domenica 17 aprile e votare “SI” per dire “NO” alle lobby straniere del petrolio che sfruttano i nostri governanti incapaci di definire una precisa linea di sviluppo economico per l’Italia.
martedì 16 febbraio 2016
Cento persone in corteo a Siena per ricordare i Martiri delle Foibe
Si è svolto a Siena il corteo in ricordo dei martiri delle foibe. Un centinaio i partecipanti, per un evento che ha lanciato un messaggio forte e chiaro alla città, nonostante la pioggia subito precedente alla manifestazione. Il corteo, che si è snodato per le vie del centro e in Piazza Indipendenza, ha dato esemplare dimostrazione di civiltà, di disciplina e di maturità politica, sfilando compostamente e silenziosamente. Ci riteniamo complessivamente soddisfatti della riuscita del corteo che abbiamo avuto l’onore e l’onere di organizzare fin dall’anno scorso,tanto più dopo il rifiuto del Comune di Siena di dar vita ad una commemorazione ufficiale per il Giorno del Ricordo. Ringraziamo sentitamente tutti gli esponenti di partiti e liste civiche che hanno partecipato e tutti i cittadini che hanno aderito.
giovedì 4 febbraio 2016
Plaudiamo all'iniziativa dei Consiglieri Falorni, Corsi e Bianchini
Plaudiamo alla richiesta richiesta presentata dal consigliere comunale di Siena Marco Falorni (Impegno per Siena) e sottoscritta da Andrea Corsi e Massimo Bianchini (L’Alternativa) in merito alle imminenti celebrazioni del “Giorno del Ricordo”. I consiglieri di opposizione hanno chiesto alla all’Amministrazione quali iniziative abbia programmato per ricordare gli infoibati italiani e gli esuli giuliano dalmati. L’assessore alla Cultura Massimo Vedovelli in risposta ha dichiarato che: << l’Amministrazione comunale condivide l’opportunità di non seguire linee di spettacolarizzazione su eventi atroci e tragici come il Giorno del Ricordo. Piuttosto, riteniamo molto più utile recepire e valorizzare le iniziative della società civile e, soprattutto, delle scuole, in modo da stimolare le dovute riflessioni nelle nuove generazioni, nell’auspicio che questo serva a prevenire e combattere ogni forma di violenza e di intolleranza>>. In poche parole l’Amministrazione comunale di Siena non ritiene importante dar vita a celebrazioni ufficiali per ricordare i nostri connazionali trucidati dai partigiani titini sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Riteniamo questo comportamento quantomeno indegno e figlio di quel modus operandi di tanti politici e storici che per decenni hanno negato l’esistenza di questi tragici eventi. Sinceramente non ci stupiamo più di tanto ma sicuramente condanniamo tale presa di posizione di chi amministra la nostra città in nome del popolo italiano.
Come abbiamo già reso noto nei giorni scorsi CASAGGì Siena, CASAGGì Valdichiana e Gioventù Nazionale hanno organizzato per il giorno 13 febbraio una marcia silenziosa per celebrare degnamente il sacrificio di quei migliaia di italiani infoibati e degli esuli sfuggiti alla pulizia etnica. Un corteo silenzioso senza simboli di partito, con tricolori e fiaccole che partirà da Piazza Matteotti (Piazza della Posta) alle ore 18.00. Invitiamo i Consiglieri Falorni, Corsi e Bianchini a prendere parte alla nostra iniziativa, oltre a tutti coloro che giustamente non si rispecchiano nella scelta dell’amministrazione comunale.
giovedì 28 gennaio 2016
CORTEO IN RICORDO DEI MARTIRI DELLE FOIBE
Anche quest’anno si snoderà per le vie di Siena il “Corteo in ricordo dei Martiri delle Foibe”, l’appuntamento sarà per sabato 13 febbraio con partenza alle ore 18.00 da Piazza Matteotti. Gli organizzatori sono i militanti CASAGGì Siena, CASAGGì Valdichiana e Gioventù Nazionale, in una nota diffusa congiuntamente si legge che: “Dopo il grande successo dello scorso anno vogliamo riproporre il Corteo in ricordo dei Martiri delle Foibe a Siena. Ci sembra doveroso ricordare nel migliore dei modi i migliaia di italiani infoibati e tutte le famiglie costrette ad abbandonare la terra natia. Anche quest’anno sarà una marcia silenziosa senza slogan e simboli di partito, ma con decine di tricolori e fiaccole per ricordare il sacrificio di migliaia di italiani infoibati e massacrati dalle truppe del generale jugoslavo Tito sul finire della Seconda Guerra Mondiale, spesso con la connivenza di alcuni reparti partigiani italiani. Non si conosce il numero preciso delle vittime di quella carneficina. Secondo gli antifascisti è stata una semplice azione militare necessaria per abbattere il regime. In quelle cavità carsiche, in realtà, venivano infoibati gli italiani di Istria e Dalmazia (uomini, donne, anziani e bambini), a prescindere dal credo politico o dall’estrazione sociale. L’eccidio delle foibe altro non è stato se non pulizia etnica nei confronti degli italiani che non volevano abbandonare le proprie case e emigrare. L’opera sistematica di negazione di questo evento è stata perpetrata per chiari motivi di convenienza da parte dei vertici del PCI, ma anche della Democrazia Cristiana. Addirittura il Presidente Pertini andò a portare il suo saluto alla salma del Generale Tito, senza contare che tuttora in Italia vi sono strade intitolate in memoria del boia jugoslavo. Vogliamo che questo corteo sia il più partecipato possibile e per questo invitiamo tutti i partiti (senza alcuna preclusione), gli amministratori comunali e provinciali, i movimenti, le liste civiche, le associazioni e i singoli cittadini senesi a prender parte a questo evento che ci deve accomunare come italiani senza distinzioni di nessun genere. L’appuntamento è per il giorno 13 febbraio 2016 e la partenza è prevista per le ore 18.00 da Piazza Matteotti (Piazza della Posta) per poi procedere per Via di Città, Piazza del Campo e terminare in Piazza Indipendenza.
Chiunque voglia contribuire alla realizzazione può contattarci all’indirizzo mail: casaggisiena@gmail.com oppure al numero di telefono: 3341105766
domenica 17 gennaio 2016
Fronte della Gioventù – la destra che sognava la rivoluzione: la storia mai raccontata
Venerdì sera tante persone hanno preso parte alla presentazione del libro di Alessandro Amorese “Fronte della Gioventù – la destra che sognava la rivoluzione: la storia mai raccontata”. Nella sala dell’hotel Excelsior erano presenti venticinque persone tra le quali vi erano militanti di tre generazioni, dai più giovani a coloro che hanno vissuto gli 70’, 80’ e 90’. È stato un evento che abbiamo voluto fortemente e che a pochi mesi dalla nascita dell’avamposto senese di CASAGGì era essenziale fare per riprendere le fila di quella che è a tutti gli effetti un importante pezzo di storia della politica giovanile italiana.
L’autore, Alessandro Amorese, ha raccontato le storie, i sogni e gli aneddoti di coloro che animarono gli anni del Fronte della Gioventù, gli scontri con il partito di riferimento ossia il Movimento Sociale Italiano. La presentazione di questo libro è stato anche un momento per ricordare chi ha perso la vita per aver scelto di fare politica giovanile nel Fronte della Gioventù come i ragazzi morti nella strage di Acca Larentia o Sergio Ramelli ucciso sotto casa ucciso da un commando di persone appartenenti alla sinistra extraparlamentare.
mercoledì 13 gennaio 2016
Presentazione del libro: "Fronte della Gioventù – la destra che sognava la rivoluzione: la storia mai raccontata"
Fin dal primo giorno in cui si è costituita CASAGGì Siena abbiamo precisato che il nostro è un impegno a 360°, quindi non solo politico ma anche culturale e metapolitico. Proprio per questo abbiamo deciso di ospitare lo scrittore Alessandro Amorese nella nostra città, presso l’Hotel Excelsior (Piazza la Lizza), venerdì 15 gennaio alle ore 18.30 per presentare il suo libro: “Fronte della Gioventù”. Questo lavoro è il frutto di mesi e mesi di ricerche per ricostruire la storia del movimento giovanile di destra più grande dal dopoguerra. Abbiamo deciso di far conoscere ai senesi questa storia perché è sicuramente uno spaccato sconosciuto ai più, spesso mal raccontato e mal interpretato. La storia del Fronte della Gioventù parte dagli anni 70’ fino ad arrivare alla metà degli anni 90’, un periodo contrassegnato da battaglie politiche(e non) e iniziative partorite dalla mente di giovani militanti di destra spesso in contrasto con l’apparato del partito a cui il movimento faceva riferimento: il Movimento Sociale Italiano. Durante questa presentazione contiamo di riunire nella stessa sala tre generazioni di militanti che, anche a Siena, hanno fatto una scelta di vita controcorrente.
In questi giorni (il 7 gennaio) si ricordava la “Strage di Acca Larentia” in cui morirono tre militanti del Fronte della Gioventù: Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta uccisi difronte alla sede dove militavano da un commando di antifascisti e Stefano Recchioni ucciso da un carabiniere negli scontri che ci furono dopo l’agguato. La presentazione ci darà modo di approfondire questa vicenda e ricordare questi giovani militanti.
Questa sarà un’occasione per raccontare la storia e l’esperienza di tanti giovani degli anni 70’, 80’ e 90’ appartenenti a quella destra che, come dice il sottotitolo del libro, “sognava la rivoluzione”, ma anche per fare un’autocritica a quel mondo da cui i militanti di oggi traggono spunto per le battaglie odierne.”
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